Teatro

Le Saphir al Palazzetto Bru Zane di Venezia

Le Saphir al Palazzetto Bru Zane di Venezia

Al momento di presentare qualche mese fa il «Festival Félicien David, da Parigi al Cairo», che ha preso ora avvio a Venezia con l’esecuzione in forma di concerto dell’opera “Le Saphir”, abbiamo brevemente presentato (vedi il link https://www.teatro.org/rubriche/eventi-veneto/palazzetto_bru_zane_festival_felicien_david_da_parigi_al_cairo_39889) la figura di questo musicista francese vissuto in pieno Ottocento, tra il 1810 ed il 1876, pochissimo conosciuto non solo in Italia od in Europa, ma tutto sommato anche nella sua patria; e, del resto, questo è il motivo per il quale gli sono state dedicate dalla Fondazione Bru Zane non solo la rassegna veneziana, ma pure una nutrita  serie di manifestazioni dislocate un po’ ovunque. Spigolando tra le cose più importanti, nello scorso mese di marzo si sono già tenute le esecuzioni dell’opera “Hercolanum” a Versailles, e dell’oratorio “Moïse au Sinaï” a Sofia, Clermont-Ferrand e Salonicco; ed a questo festival veneziano farà seguito l’esecuzione delle due ‘ode-symphonies’ composte da David: ai primi di maggio di “Le Désert” alla Cité de la Musique a Parigi, ed infine in agosto del “Christophe Colomb” che sarà presentato nell’ambito del Festival Berlioz di La Côte-Saint-André.
Artista dalla facile vena descrittiva, Félicien David ebbe il merito di dare impulso al gusto dell’orientalismo in musica, genere presto assai gradito al grande pubblico delle sale d’Oltre Alpe, operando nel suo settore in parallelo di quanto, a partire dall’epoca romantica e sulla scia delle avventure napoleoniche in Egitto a fine secolo, avveniva in pittura e in letteratura. (Noterella: per lo studio approfondito di un fenomeno dai contorni assai ampi, rinviamo i lettori più tenaci all’esauriente saggio “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente” presentato da Edward Said nel 1978 - e pubblicato qui da Feltrinelli - nel quale si tenta di spiegare e ridefinire le modalità con cui l'Europa ha visto e rappresentato nel tempo quegli esotici paesi).
Tuttavia, per il suo ultimo lavoro teatrale “Le Saphir”, opéra-comique in tre atti su libretto di De Lauven, Carré e Hadot creata l’8 marzo 1865 alla Salle Favart in Parigi, David non seguì la traccia ideale che l’aveva portato a comporre i pannelli pittorici delle “Mélodies orientales”,  di “Le Désert”, “Moïse au Sinaï” e “Lalla-Roukh”. Volle rifarsi invece ad un classico della letteratura europea, cioè alla spensierata commedia di Shakespeare “Tutto è bene quel che finisce bene” - a sua volta ispirata alla novella di Giovanni Boccaccio “Giletta di Narbona”, tratta dal “Decamerone” - presentando così al pubblico parigino un intreccio ambientato tra i boschi della Navarra (I e III atto) e le campagne attorno a Napoli (II atto); con qualche variazione dunque geografica rispetto alle fonti originali. E questo forse deluse un poco un pubblico che si aspettava la solita dose di esotismo orientale, con oasi, palmizi e magari una Cavalcata Notturna Nel Deserto. Nondimeno, l’opera venne accolta bene da tutti, spettatori e critica, con un particolare favore verso il II atto ambientato in un’Italia dai vividi tratti coloristici.


La trama di “Le Saphir” è presto raccontata: alla corte di Navarra il libertino conte Gaston de Lusignan reicontra e corteggia la bella Hermine, amica d’infanzia, senza tuttavia avere in cuore nessuna intenzione di sposarla. Pur ottenendo da lei un pegno d’amore – un nastro di seta - dichiara anzi che sarà sua sposa solo quando essa avrà al dito il suo anello di zaffiro. Hermine, figlia di un farmacista di Narbona, ha guarito con le sue conoscenze il figlio della Regina di Navarra; quando essa le chiede quale compenso desidera, la fanciulla sceglie di poter sposare Gaston; la Regina conosce la volubilità del conte, ma accosente al suo desiderio. Tuttavia, di fronte a tale inaccettabile evenienza, Gaston preferisce dileguarsi in compagnia del paggio Olivier e del capitano Parole, suo vecchio amico. Spostatosi in Italia, il terzetto raggiunge i dintorni di Napoli dove mena vita spensierata, intrecciando flirts con la locandiera Lucrezia e la sua giovane nipote Fiammetta. Hermine però li ha seguiti di nascosto; con la complicità di Lucrezia, presto solidale con la volitiva ragazza francese, essa si sostituisce in un incontro notturno a Fiammetta, blandita da Gaston, e con astuzia si fa consegnare da lui il famoso anello. Al rientro in Navarra, stanco dei piaceri del Bel Paese, con una balda sfrontatezza Gaston è curioso di sapere se Hermine gli è rimasta fedele. I tre amici – Gaston, Parole ed Olivier - si recano mascherati ad una festa in onore della Regina, che si tiene in casa di Hermine; vengono però riconosciuti, ed a questo punto Gaston decide di dichiare il suo amore alla fanciulla. Ora però Hermine pretende da Gaston quell’anello di zaffiro che le venne un tempo promesso, e che ben sa non essere più in suo possesso. L’uomo ora è disperato; quando incontra Fiammetta – portata con sé da Hermine in Navarra – tenta di riavere il gioiello, ma la fanciulla ovviamente nega di averlo mai ricevuto in dono. Quando rientra Hermine, Gaston le confessa sconsolato di non poterle più donare il gioiello, ma di poterle assicurare in cambio un amore sincero e (si spera) fedele. Giunge dunque il momento di sciolgliere i nodi dell’intreccio: Hermine gli rivela di possedere già l’anello, e come l’ha avuto; Gaston confuso le chiede perdono, e con l’assenso della Regina vengono annuciate finalmente le loro nozze.

Purtroppo, la partitura orchestrale di “Le Saphir” è andata perduta, come talvolta negli anni accade. Restando a disposizione solamente lo spartito per canto e pianoforte, si è reso dunque necessario ricostruire in qualche modo un idoneo accompagnamento strumentale che sostenesse i cantanti. Dell’impresa si sono fatti carico Alexandre e Benoît Dratwicki: i due studiosi francesi – il primo è anche responsabile della Fondazione Bru Zane - hanno elaborato una funzionale trascrizione/ adattamento per un piccolo ensamble strumentale di nove solisti (un quintetto d’archi, più flauto, oboe, clarinetto e fagotto) e per sei soli cantanti, omettendone le parti corali; il che ci ha privato, purtroppo, tra l’altro dell’ascolto del coro d’inizio «Amis, voici le jour» che alla prima parigina – come tramandano le cronache - dovette essere bissato a furor di popolo. Alle prese con una versione dell’opera alquanto ridimensionata, e per di più priva dell’orchestrazione originale (che doveva essere senza dubbio assai ricca e ben costruita, prendendo a riferimento gli altri lavori davidiani) non è facile esprimere giudizi approfonditi. Ad ogni modo, anche con un ascolto così limitato, appare più che evidente come  “Le Saphir” sia una brillante opéra-comique, un lavoro per così dire “di mezzo carattere” con un libretto drammaturgicamente ben costruito e divertente, e che racchiude al suo interno non poche pagine musicali interessanti: come nel I atto il brillante quintetto «Salut à vous!» che allinea sulla scena i principali personaggi, ed il tenero duetto «Le temp importe sur son aile» nel quale Gaston ed Hermine rievocano insieme i ricordi d’infanzia; e poi nel II atto i couplets di Olivier «Tudieu, belle napolitaine», il delizioso quartetto «Mon page est ici» e l’intensa, drammatica aria di Hermine «Je me livrais, pauvre insensée»; e per finire, nel III atto il quintetto «Il est ici, dis-tu?» introdotto da una bella danza spagnoleggiante, il terzetto «Ah, beau page…», seguito poi dagli ironici couplets di Fiammetta «Mon beau signeur» e da quelli passionali di un Gaston finalmente ammaliato «Oui, c’est vous seule Hermine…». 


La giovane compagnia raccolta per questa occasione dal Festival David, in occasione del concerto tenutosi nella Sala Grande della Scuola di San Giovanni Evangelista, sfoggiava corretta proprietà di stile ed un notevole affiatamento, due belle qualità che si riflettevano nella eleganza e pertinenza delle parti cantate, e nella fresca immediatezza con cui sono stati resi i dialoghi recitati. Li elenchiamo brevemente: il soprano Gabrielle Philiponet era un’incantevole e sensibilissima Hermine; il tenore Cyrille Dubois un Gaston dal portamento aitante e nobile; il mezzosoprano Marie Lenormand un adorabile Olivier; il baritono Julien Véronèse un bonario e garbato Parole; il soprano Katia Velletaz una luminosa Fiametta; il mezzosoprano Marie Kalinine ha impersonato benissimo la Regina e Lucrezia. Alla guida de I Solisti du Cercle de l’Harmonie - eccellente formazione strumentale specializzata nel repertorio classico/romantico – presiedeva il bravo Julien Chauvin, impegnato anche ad imbracciare il primo violino.
Per informazioni e maggiori dettagli sul proseguo del Festival David, rinviamo il lettore al sito www.bru-zane.com